L’Agenzia Investigativa deve salvaguardare i propri clienti da massmedia e web.

L’Agenzia Investigativa deve saper proteggere il proprio cliente da certa stampa
L’Agenzia Investigativa deve saper proteggere il proprio cliente da certa stampa

Uni dei miei doveri principali verso i clienti che si rivolgono all’Agenzia Investigativa è l’obbiettività, anche a costo di perderli. Dovrebbe essere così anche per i giornalisti nei confronti dei loro lettori, ma quando svolgo indagini penali difensive devo spesso proteggere i miei clienti dal giornalismo rapace e cannibale.

         Molti anni fa (appena aperta la mia Agenzia Investigativa) un mio caro amico (che adesso non c’è più), grande investigatore della Polizia di Stato italiana, m’insegnò a non fidarmi mai dei massmedia quando svolgo un’indagine criminale.

Ed ogni volta che mi occupo di un’indagine penale particolarmente esposta mediaticamente o leggo di articoli di cronaca (declassati in articoletti scandalistici) non posso fare a mano di ricordarlo con affetto.

         Nella ripugnante e preoccupante vicenda del suicidio del milionario americano Jeffrey Edward Epstein, la parte che desta preoccupazione e disgusto non è la morte in sé, ma cosa combinasse l’orco in vita e il motivo per cui è stato lasciato morire suicida(to). Eppure i giornalisti statunitensi si stanno occupando di questo subumano, già noto da anni, soltanto adesso, quando è facile far fantasticare la massa dei minus habentes. E quel che è peggio: pettegolezzi e dietrologie stanno prendendo il posto del famoso giornalismo d’inchiesta statunitense, innescando nelle menti più deboli pericolose reazioni come il colpo di testa del ventottenne Edgar Maddison Welch nella pizzeria Comet Ping Pong.

         Mi sembra di vedere un film già visto decine di volte durante i casi trattati dalla mia Agenzia Investigativa, quando assistevo a comportamenti inqualificabili da parte dei massmedia.

         Se i giornalisti U.S.A. sono deludenti figuriamoci quelli italici che trattano il caso Epstein più come cronaca scandalistica rosa che nera: hanno dato ampio risalto al ritrovamento in casa Epstein di un quadro dipinto a mano raffigurante Bill Clinton nei panni della sua ex-stagista Monica Lewinsky. Nei primi articoli apparsi era palese il fatto che non si parlasse volutamente di un quadro dipinto a mano, ma semplicemente di un’immagine, lasciando intendere potesse essere una fotografia.

Adesso che non è più possibile equivocare tra fotogramma e quadro, si definisce il dipinto un ritratto, equivocando sul fatto che Clinton avrebbe potuto essere stato presente alla composizione del manufatto, mollemente adagiato su una poltrona e vestito da Lewinsky. Ora potrebbe essere avvenuto proprio così, ma da giornalista non m’importerebbe nulla delle giornate en femme di Bill Clinton, mi concentrerei piuttosto sull’effettivo coinvolgimento dello stesso Clinton e di altre persone nell’eventuale sfruttamento di minorenni. Cosa abbia voluto dire l’autore del quadro dal discutibile gusto mi pare l’ultimo dei nostri problemi in una società dove i minorenni di qualsiasi età vengono tutelati solamente a parole e spesso neppure a quelle, vista la lentezza con cui i nostri giornalisti si sono svegliati sugli illeciti di Bibbiano, dei servizi sociali dell’unione Val D’Enza, della Onlus piemontese Hansel e Gretel e via dicendo.

         Il mio amico della Polizia mi ripeteva che ai giornalisti interessa più vendere che informare. Oggi si potrebbe dire che ai blogger interessa più racimolare followers che dire la verità. Molti “giornalisti” e “blogger” sono schiavi del loro pubblico, ed è risaputo che la folla è sempre stata più interessata al linciaggio che a Verità o Giustizia.