Quando vi dicono che “è la legge” non credetegli, l’elemento umano fa la differenza sulla sua applicazione.

Chi lavora in un’agenzia investigativa esperimenta ogni giorno che la Legge non è uguale per tutti.
Chi lavora in un’agenzia investigativa esperimenta
ogni giorno che la Legge non è uguale per tutti.

La recente condanna a 13 anni del gioielliere di Nicolosi in provincia di Catania, Guido Gianni, è una sconfitta del buon senso prima ancora che della giustizia. Il pubblico ministero ne aveva chiesti addirittura 17.

Lo sfortunato gioielliere Guido Gianni il 18 febbraio 2008 aveva ucciso due rapinatori e ferito il terzo, che minacciavano di morte sua moglie per convincerlo a consegnare il bottino. Personalmente, come titolare di agenzia investigativa abilitata alle indagini penali difensive, ho lavorato a casi di assassini professionisti che rischiavano meno anni di galera. Le famiglie dei tre malandrini non hanno avuto nessuna vergogna a costituirsi parte civile e chiedere il risarcimento, ma quel che è peggio è che nessuna legge glielo ha impedito.

         Hanno dimostrato maggior equilibrio i magistrati di Milano nel caso molto simile del tabaccaio Petrali, riconoscendo la “legittima difesa putativa”. Cioè che Giovanni Petrali abbia agito in stato di temporanea incapacità di intendere, commettendo un “errore di percezione” della minaccia. Ciò significa che è l’elemento umano a fare la differenza anche tra leggi inique e poco efficaci.

         Uno dei principali problemi della nostra Giustizia sono alcuni magistrati: il troppo potere e la sostanziale impunità di cui godono li rende totalmente scollati dalla realtà. Posso ben dirlo, svolgendo con la mia agenzia investigativa indagini criminalistiche da prima ancora che fosse istituita la figura dell’investigatore privato abilitato alle indagini penali difensive e di parte civile.

         Da quando la mia agenzia investigativa è autorizzata alle indagini difensive assistito avvocati nella difesa di imputati completamente innocenti e purtroppo una delle principali preoccupazioni non è perseguire verità e giustizia, ma piuttosto non far “arrabbiare” il pubblico ministero di turno, altrimenti sono guai.

         In un caso di omicidio di cui mi occupai molti anni fa, quando ancora avevo l’agenzia investigativa a Treviglio, un testimone chiave dell’accusa si trasformò imprevedibilmente in testimone a discolpa (in realtà bastava parlarci per capire che si trattava di una persona inattendibile: portata patologicamente a compiacere i suoi interlocutori e a cambiare versione a seconda delle circostanze); gli avvocati per cui lavoravo dovettero affrontare tutti i tre gradi di giudizio di un processo farsesco per subornazione di testimone.

         Quando, più recentemente, mi occupai delle indagini difensive di Filippo Pappalardi di Gravina di Puglia, imputato dell’uccisione dei figli Ciccio e Tore che erano invece morti in un tragico incidente, la mia agenzia investigativa fu visitata per un controllo da parte di un simpatico ispettore della Polizia Amministrativa, palesemente inviato dalla procura di Bari a mo’ di ammonimento.