AllertaLOM e IMMUNI, io non mi fido.

AllertaLOM e IMMUNI, vi spiace se non mi fido?
AllertaLOM e IMMUNI, vi spiace se non mi fido?

La Regione Lombardia ci invita a scaricare l’applicazione AllertaLOM e compilare un questionario giornaliero sul nostro stato di salute, precisando e garantendo che l’accesso è anonimo. Il governo italiano usa un’altra App dal nome IMMUNI, che dovrebbe localizzare per tempo i focolai, identificando gli immuni, i contagiati e chi è a rischio d’infezione. Già mi sembra una sciocchezza utilizzare due piattaforme differenti per un monitoraggio che riguarda un’unica emergenza e dovrebbe essere il più organico e capillare possibile. Del resto l’Italia è la patria degli schedari malfunzionanti e non interconnessi: è da molto prima che aprissi la mia agenzia investigativa che sento parlare di un’unica banca dati anticrimine o sulle persone scomparse e ancora oggi i progetti non sono stati realizzati appieno o addirittura si trovano in alto mare.

Tornando a IMMUNI, AllertaLOM o come diavolo si chiamerà l’ennesima applicazione che si inventeranno: vi spiace se, dopo aver visto enti governativi combinarne di tutti i colori in campo informatico, non mi fido?

         Molti anni fa, quando non avevo ancora una mia agenzia investigativa, fu istituito il primo archivio informatico dei precedenti penali e un hacker, dalle modeste capacità, riuscì a entrarvi per ottenere le informazioni riservate in esso contenute.

         Il fatto è che gli apparati statali sono sempre un passo indietro al privato. Quando avevo ormai aperto la mia agenzia investigativa da qualche anno e svolgevo indagini criminali, un mio amico Ufficiale di P.G. mi mostrò orgoglioso cosa era riuscito a scoprire nel web il suo specialista informatico sul conto di un indagato: tre o quattro paginette di informazioni. Chiamai il “mio” di “specialista informatico”, un ragazzino di 16 anni, e dopo qualche giorno consegnai al mio amico un fascicolo alto un palmo sul suo indagato.

         Sempre da titolare di agenzia investigativa dovetti subire la seccatura dell’introduzione della legge sulla privacy (come tutti gli italiani del resto). Avrebbe dovuto tutelarci e invece si limita a controllare i nostri archivi, non ha migliorato la nostra privacy e in compenso ha peggiorato la nostra burocrazia.

         Da oramai vecchio titolare di agenzia investigativa potrei elencare numerosi altri casi in cui la privacy dei cittadini è stata compromessa da chi avrebbe dovuto tutelarla. Tuttavia, senza andare troppo indietro nel tempo, è di pochi giorni fa la figuraccia informatica fatta dall’INPS, il cui sito è andato in tilt per le richieste del bonus indennità da coronavirus, con abbondante mescolanza di dati.

         L’inettitudine informatica non è solo un fatto italiano. Tutti ricordiamo come Julian Paul Assange fondatore di WikiLeaks ha sputtanato i governi di mezzo mondo nonostante la loro sicurezza informatica fosse universalmente sbandierata.

         Tornando in patria, dopo una vita dedicata a tutelare la mia privacy e quella dei miei clienti (che spesso è la stessa cosa) non posso fidarmi dei dilettanti superficiali che hanno ideato IMMUNI. E gli specialisti informatici forensi della mia agenzia investigativa (che non hanno più 16 anni) mi danno ragione. E c’è un altro aspetto triste di questa vicenda: purtroppo le nuove generazioni stanno crescendo con l’illusione di poter ricorrere ad un App per risolvere qualsiasi problema.