L’assassino Fabrizio Biscaro si è avvicinato alla sua zona di caccia, adottando una serie di precauzioni da “killer organizzato”.

Ai detective della mia agenzia investigativa Octopus ho sempre insegnato che le indagini criminalistiche si basano su cinque elementi: dubbio, verifica, ordine, dettagli e visione d’insieme.
Ai detective della mia agenzia investigativa Octopus ho sempre insegnato che le indagini criminalistiche si basano su cinque elementi: dubbio, verifica, ordine, dettagli e visione d’insieme.

        Forse Fabrizio Biscaro ha conosciuto Elisa Campeol sui social, i due si sono incrociati per caso in un forum di medicina olistica e forse il Biscaro è stato cliente del Bar di Elisa a Pieve di Soligo. Non è ancora chiaro se il Biscaro abbia saputo che Elisa sarebbe andata a prendere il sole sul lungo Pieve di Moriago della Battaglia o se l’abbia incontrata lì per caso, né si sa se l’abbia riconosciuta. Sta di fatto che il Biscaro si è avvicinato alla sua zona di caccia, adottando una serie di precauzioni da “killer organizzato”, che avrebbero potuto renderlo difficilmente identificabile. Tuttavia, l’assassino, un trentaquattrenne originario di Col San Martino, dopo il delitto, chiaramente premeditato (ancorché casuale), si è costituito e ha confessato ai Carabinieri di Valdobbiadene e per la Procuratrice Gabriella Cama sarà solamente questione di stabilire la capacità d’intendere e di volere dell’imputato.

         Senza la confessione del Biscaro, quello della povera Elisa avrebbe potuto essere l’ennesimo delitto irrisolto con familiari/amici perseguitati per anni da indagini sbagliate e superficiali, se non addirittura incarcerati ingiustamente. Su alcuni media si parlava già di femminicidio.

         Questo omicidio dovrebbe far riflettere sulla eccessiva facilità con cui tutte le polizie del mondo, in caso di delitti così efferati e inspiegabili, tendono a concentrare i loro sospetti esclusivamente sui familiari più vicini. D’accordo: statisticamente ragazze dalla vita regolare come quella povera Elisa vengono assassinate da familiari, amici o fidanzati; inoltre, la furia omicida del caso Campeol denota un rapporto personale tra vittima e assassino. Tuttavia la mia agenzia investigativa Octopus si è occupata di più d’un omicidio irrisolto a causa di iniziali indagini a senso unico in ambito familiare o amicale. Talvolta il mio compito erano le indagini penali difensive nell’interesse dell’indagato innocente, altre volte la mia agenzia investigativa doveva cercare, per conto dei familiari delle vittime, nuove piste su casi freddi rimasti irrisolti.

In entrambe le circostanze i segnali d’allarme d’indagini superficiali e approssimative si coglievano già nel fascicolo processuale, che i detective della mia agenzia investigativa Octopus ed io leggevamo, come punto di partenza: inquirenti autoreferenziali ed eccessivamente sicuri delle loro tesi accusatorie, che erano più inclini a scrivere, compiacendosi di sé stessi, che a indagare. Ricordo di aver letto pagine su pagine di tesi accusatorie deliranti contro il padre dei fratellini Pappalardi e aver smontato accuse di omicidio, semplicemente riconsiderando, con la giusta attenzione, tutti gli elementi trascurati dall’accusa.

Questo brutto vizio di procedere su base statistica ed esclusivamente indiziaria è emerso recentemente anche nel caso della povera Gianna Del Gaudio, sgozzata mentre lavava i piatti in casa, della cui morte fu accusato il marito Antonio Tizzani, prosciolto dai riscontri sul DNA.