Non ho mai capito la tifoseria violenta.

Abbiamo vinto il campionato europeo e, come al solito, qualcuno ha guastato la bella atmosfera.
Abbiamo vinto il campionato europeo e, come al solito, qualcuno ha guastato la bella atmosfera.

Abbiamo vinto il campionato europeo e, come al solito, qualcuno ha guastato la bella atmosfera: l’euforia si è trasformata spesso in violenza contro persone e cose. Già dopo la vittoria dell’Italia sulla Spagna la demenza serpeggiava tra le folle, procurando un brutto spavento e qualche livido al raider Alessandro Ghiani di Cagliari.

La tifoseria violenta ha l’unico vantaggio di circoscrivere alle partite le bravate di un’inevitabile quota di feccia umana. Non credo nella validità della ricerca, svolta presso l’Università di Oxford dalla Dott.ssa Martha Newson, nella quale si è stabilito che il tifoso diventa violento in quanto influenzabile e suggestionabile: se sei una brava persona non approfitti vigliaccamente dell’anonimato della massa per delinquere.

Un mio caro amico, ex-poliziotto nella sezione anti-gang e oggi titolare di un’agenzia investigativa negli States, si trovò d’accordo con me già molti anni fa su questa visione delle cose e mi fece notare che noi in Italia siamo fortunati ad aver circoscritto all’interno di alcuni eventi sportivi la stupida “violenza del branco umano” (perché gli animali non si abbassano a tanto). In certe aree degli Stati Uniti d’America, invece, questo genere di violenza si è diffusa come una metastasi nell’intero tessuto sociale. Il mio amico, per sopravvivere, ha dovuto prepensionarsi e aprire una sua agenzia investigativa, altrimenti sarebbe finito travolto da quello schifo.

         Sarò così pessimista perché il mio mestiere di titolare di agenzia investigativa mi costringe a stretto contatto con l’aspetto deteriore dell’umanità. Tuttavia è sufficiente seguire i telegiornali per comprendere che siamo fatti parecchio male…

         Molti anni fa, quand’ero ancora collaboratore di agenzia investigativa, il mio capo mi inviò in trasferta a sorvegliare un assenteista. Lo colsi mentre, nonostante fosse in malattia, lavorava come fotografo per una piccola testata sportiva locale. Lui fotografava l’azione in campo e io fotografavo lui. Il soggetto, nonostante le ernie al disco lamentate, sosteneva un pesante e costosissimo 600mm (all’epoca per fare belle fotografie da lontano dovevi essere ricco e forzuto). Al termine della partita le tifoserie si affrontarono sulla base del nulla che ciascuno di quegli energumeni aveva nel cervello. Il mio sorvegliato fu aggredito così brutalmente che non riuscii a non intervenire in suo soccorso.

         Da allora la mia agenzia investigativa ha ricevuto talvolta incarichi d’infiltrazione sotto copertura nelle frange delle tifoserie più violente. E non sto parlando solamente di calcio: sapeste che razza di dementi ci sono a seguire l’hockey, il pattinaggio e altri sport che non immaginereste mai ammorbati da tifo violento.