La vicenda di Massimo Adriatici e Youns El Bassettaoui.

La vicenda di Voghera permette alcune riflessioni in fatto di autodifesa.
La vicenda di Voghera permette alcune riflessioni in fatto di autodifesa.

La vicenda di Massimo Adriatici che davanti a un bar di Voghera ha sparato, uccidendolo, Youns El Bassettaoui, oltre a svelare per l’ennesima volta la ben nota meschinità dei nostri politici e opinionisti di entrambi gli schieramenti (che fregandosene del morto lo usano per la solita bagarre), mi permette di ribadire tre errori da evitare in fatto di autodifesa con le armi da fuoco.

Il primo errore è la scelta di un calibro, il 22mm, troppo piccolo per permettere di ferire l’aggressore abbastanza seriamente da fermarlo senza doverlo uccidere. Per questo motivo pretendo che i detective della mia agenzia investigativa Octopus si armino con calibri un po’ importanti, anche se ciò comporta maggior esercizio. Il 22mm è un calibro da tiratore sportivo o da killer.

In secondo luogo una pistola in un calibro così piccolo, come il 22mm, non ha  quasi mai dimensioni sufficienti da costituire un deterrente. Come scrissi nel mio manuale ‘Cameras & Guns – manuale di fotografia e armi per investigatori’: il colore, insieme all’aspetto e alle dimensioni, contribuisce a rendere l’arma minacciosa, determinando il suo potere di dissuasione, spesso utile a scongiurare il conflitto. E raccontai l’esempio di una collaboratrice della mia agenzia investigativa Octopus che si era lasciata tentare dalle bizzarre modifiche che un’azienda realizzava sulle armi e aveva fatto colorare di rosa la sua pistola. Le feci notare che l’arma così conciata sembrava un giocattolo, ma la detective non mi diede ascolto sino a quando non ci trovammo faccia a faccia con due delinquenti armati e pericolosi: la collaboratrice estrasse prontamente la sua arma, suscitando solo ilarità nei due, che invece rinunciarono ai loro propositi quando videro il mio revolver Smith&Wesson in calibro .41 Magnum, nero come un funerale e con le ogive che occhieggiavano minacciose dalle camere di scoppio. Si, lo so: oggigiorno anche l’impiego di un calibro come il .41 Magnum (incamiciatura delle ogive a parte) potrebbe configurare l’eccesso di difesa, ma allora erano i favolosi anni ’80… e io mi ero fatto confezionare delle ricariche adatte.

Non posso dire se l’avvocato Massimo Adriatici avesse impugnato l’arma prematuramente o fosse stato costretto a impugnarla per non perderla durante la caduta (la trattenuta della fondina è un altro aspetto sottovalutato nell’autodifesa), tuttavia trovo ridicola la razio secondo cui la difesa deve essere commisurata all’offesa, come se ciascun aggredito fosse in grado di valutare esattamente quali pericoli stia correndo durante l’aggressione. Conoscono persone capaci di uccidere con un solo pugno ben assestato. Quanti di noi non sparerebbero a un energumeno che li assale furiosamente, magari al grido “ti ammazzo”? Perché mai l’avvocato Adriatici avrebbe dovuto lasciarsi uccidere di botte perché un aggressore a mani nude, secondo la legge, deve essere affrontato a mani nude?

E qui troviamo il terzo errore, cioè la mancanza di un piano B. Anche se armati fino ai denti e molto prestanti fisicamente ed esperti di arti marziali, costringo i detective della mia agenzia investigativa Octopus a girare armati anche di uno spray antiaggressione, per non dover ricorrere alle armi ogni volta che si scontrano con qualcuno di particolarmente forte e abile.