Lavorare nelle Forze dell’Ordine o per un’agenzia investigativa è una missione; se non ci sei tagliato, è meglio che lasci perdere.

Lavorare come Carabiniere o per un’agenzia investigativa è una missione.
Lavorare come Carabiniere o per un’agenzia investigativa è una missione.

La triste vicenda dell’omicidio di Stefano Cucchi sta finalmente avendo il suo miglior epilogo giudiziario con la condanna dei responsabili. Tuttavia non si placano stupide polemiche sul fatto che i familiari, quando Stefano era in vita, fossero esasperati dai suoi comportamenti di tossicodipendente e che invece da morto hanno combattuto non già per fargli Giustizia ma piuttosto per il risarcimento.

         A questi polemisti da osteria al nono grappino chiedo se abbiano mai avuto un tossicodipendente o alcolista in famiglia? Se abbiano una vaga idea di quanto sia snervante assistere alla trasformazione di un loro amato familiare in un buco nero di sentimenti, relazioni interpersonali e soldi?

Io fortunatamente no, ma ho conosciuto decine di genitori, rivoltisi alla mia agenzia investigativa, in cerca di aiuto per capire il grado di dipendenza e le frequentazioni dei loro figli tossicomani. Ho assistito alla loro disperazione. Conosco bene il loro rapporto d’amore-odio con chi, per una dipendenza, riesce a mandare in rovina economica e disgregare intere famiglie.

Spesso ho dovuto ripetere a questo genere di clienti (tra i più difficili della mia agenzia investigativa) di essere irremovibili in fatto di disciplina e di soldi con il loro familiare, perché solo così hanno qualche probabilità di salvarlo; proprio come quando devi decidere se e come pagare il riscatto di un rapimento. Spesso ho dovuto aiutarli a superare i loro sensi di colpa, determinati dall’impotenza e dall’esasperazione.

         Invece di preoccuparci di quanto fosse realmente amato (e con ogni probabilità anche affettuosamente odiato) il povero Stefano dai suoi familiari, oppure di calcolare quanti soldi (giustamente) adesso verranno risarciti alla famiglia, dovremmo concentrarci sull’unico insegnamento di questa drammatica vicenda: la professionalizzazione delle Forze dell’Ordine.

Evidentemente i Carabinieri condannati non avevano capito nulla della loro missione, trasformandosi da “Scudi” per la sicurezza di tutti i cittadini (compreso Stefano) a teppisti durante una rissa. Sarebbe come dire che io mi faccia troppo coinvolgere dai clienti della mia agenzia investigativa e finisca per odiare coniugi fedifraghi, genitori che sottraggono i figli, dipendenti sleali, spie industriali, ladri di idee, truffatori e tutti quei malandrini su cui sono chiamato a investigare.

Sono lontani i tempi in cui l’arruolamento nelle Forze dell’Ordine era una sorta di welfare nazionale per chi aveva la raccomandazione del parente già arruolato più alto in carica; tuttavia ancora in troppi Servitori dello Stato manca il giusto approccio e l’elevato sentimento capaci di farli adempiere alla loro missione.

         In realtà, sotto il profilo istituzionale, l’aspetto più grave della vicenda non sta nel pestaggio di Stefano da parte di chi non avrebbe mai dovuto essere arruolato nell’Arma, ma nella resistenza ad ammettere le responsabilità per un falso senso dell’Onore.

Adesso l’equilibrio è stato ristabilito dalla sentenza di condanna e dal simbolico baciamano del Maresciallo dei Carabinieri Salvatore Caporaso. Ma, come al solito, troppi dei nostri politici sono rimasti all’osteria davanti all’ennesimo grappino.