Qualsiasi inquirente dovrebbe lavorare nell’ombra, sia che lavori per l’Autorità giudiziaria sia che si tratti del detective di un’agenzia investigativa.

A tutti piacciono le luci della ribalta, ma ci sarà un motivo se si chiamano investigazioni private.
A tutti piacciono le luci della ribalta, ma ci sarà un motivo se si chiamano investigazioni private.

Uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi è morto all’età di sessant’anni per arresto cardiocircolatorio nella sua casa a Tigre in Argentina. Non si può dire sia stata una totale sorpresa la sua morte prematura dopo una gioventù trasgressiva e i numerosi problemi di salute in vecchiaia. Diego Maradona aveva recentemente sofferto di un edema subdurale, rimosso con successo, ma con qualche riserva diagnostica e che lo aveva costretto a una lunga convalescenza e dura riabilitazione.

Appena dopo la morte del campione la sua salma ha indotto alcuni becchini dell’impresa funebre Sepelos Pinier a farsi qualche selfie accanto al feretro nella camera ardente e tutti si sono accaniti contro questi poveracci, ma nessuno si è accorto della girandola di “selfie”, quelli veri e moralmente peggiori, attorno al cadavere del campione. Ha iniziato l’avvocato del Pibe de Oro, Matias Morla, lanciando accuse non provate, anzi dimostratesi false, sui tempi di intervento dell’ambulanza. Poi anche il Doctor Alfredo Cahe, pur non seguendo più Maradona come medico, ha voluto dire la sua sull’assistenza post-ospedaliera, definendola inopportuna. Infine è subentrata l’autorità giudiziaria con ben quattro magistrati: il procuratore generale John Broyard, la procuratrice Laura Capra e due sostituti procuratori, Patricio Ferrari e Cosme Irribaren, si stanno occupando del caso.

         Personalmente, da titolare dell’agenzia investigativa Octopus che si occupa d’indagini difensive da 27 anni, conosco bene questo parassitismo mediatico; cioè quando magistratura, forze dell’ordine, uffici di polizia giudiziaria, avvocati e investigatori privati si buttano su un caso, non per risolverlo ma in cerca di visibilità. Le indagini vengono sostituite da interviste e comparsate a base di ipotesi e annunci, il duro lavoro investigativo si riduce a un inutile gioco da tavolo sulla ricerca del colpevole.

         Cadere in questa mania di protagonismo è tanto più grave quanto più è pubblico il ruolo che si ricopre, poiché la sovraesposizione mediatica induce all’errore giudiziario. Come scrissi nel mio ultimo manuale ‘Agenzia investigativa del terzo millennio’: “Talvolta qualche superficiale benpensante accusa noi detective privati di essere mercenari delle investigazioni, contrapposti agli inquirenti statali, reputati fautori sempre disinteressati di verità e giustizia. Ma gli ingenui conformisti dimenticano che gli investigatori pubblici sono esposti a tentazioni ben più insidiose della parcella, quali: l’indolenza professionale in assenza di sproni e di meritocrazia, le inappropriate ambizioni carrieristiche, la ribalta sui mass media e l’ebbrezza dell’abuso di potere”.

         In quasi 40 anni di investigazioni private e indagini criminali ho capito che, se voglio servire realmente al meglio i miei clienti, devo stare alla larga dai mass-media e lavorare nell’ombra. Questa filosofia di lavoro, praticata nella mia agenzia investigativa Octopus, consente di raggiungere una notorietà molto più capillare e di qualità: ti chiamano perché, grazie al passaparola, sanno che non li tradirai mai per la prima pagina di un giornale o un programma televisivo, e che non ti farai mai usare dai mass-media.