Gli assassini del Vicebrigadiere Cerciello hanno diritto a un nuovo processo.

Da investigatore privato titolare di agenzia investigativa vengo spesso fermato dalle Forze dell’Ordine durante il mio lavoro. Tuttavia non mi è mai capitatoche gli agenti in borghese non si qualifichino immediatamente.
Da investigatore privato titolare di agenzia investigativa vengo spesso fermato dalle Forze dell’Ordine durante il mio lavoro. Tuttavia non mi è mai capitato
che gli agenti in borghese non si qualifichino immediatamente.

Gli assassini del Vicebrigadiere Mario Cerciello Rega hanno diritto a un nuovo processo, perché i Carabinieri, che li hanno fermati nel quartiere Prati quella maledetta notte del 26 luglio 2019, non si sarebbero qualificati come tali. Io non ci credo.

Tanto di cappello all’Avvocato Roberto Capra che sta garantendo la miglior difesa al suo assistito, Finnegan Lee Elder, ed è riuscito ad evidenziare il fatto che l’americano non avesse capito di trovarsi difronte a due Carabinieri. Anche se 11 coltellate in 20 secondi al povero Cerciello sono un po’ troppe per poter essere giustificate da un semplice fraintendimento. Al massimo l’avvocato riuscirà a evitare a Finnegan qualche aggravante di poco conto in termini di anni di galera, come la resistenza o l’aggressione a Pubblico Ufficiale.

Quanto al compare di Finnegan, Natale Hjorth, non avendo preso parte attiva all’accoltellamento mortale, sta cercando di ridurre significativamente la sua pena, che gli era stata comminata a 22 anni di galera, ma mi auguro che il Sostituto Procuratore Generale della Cassazione, Francesca Loy riesca a impedirlo.

In tutto questo legittimo garantismo per gli imputati trovo eccessivo dare importanza alla chat dei Carabinieri, che, dopo l’assassinio del loro collega, si sono lasciati andare a considerazioni certamente poco consone, ma comprensibili. Anche perché nessuno ha messo in atto gli abusi di potere auspicati nelle chat e non è reato fantasticare di commettere un crimine.

Così come mi sembra eccessivo accusare Fabio Manganaro di “misura di rigore non prevista dalla legge” per aver bendato Gabriel Natale Hjorth; non dimentichiamoci dei poliziotti morti in altre funeste occasioni perché il fermato era riuscito a impossessarsi di una pistola all’interno della centrale di polizia.

Da giovane investigatore privato collaboratore di agenzia investigativa venivo spesso fermato dalle Forze dell’Ordine durante il mio lavoro. Tuttavia non mi è mai capitato in decine di casi che gli agenti in borghese, al di là della loro estrema riconoscibilità (tutti i poliziotti del mondo sono uguali), non si qualificassero immediatamente.

Capitava di dover fare lunghi appostamenti che insospettivano i residenti e mi ritrovavo circondato da Carabinieri con le armi spianate. Erano gli anni ottanta, quando un giovanotto come me, fermo per strada, poteva essere un brigatista rosso in attesa di gambizzare qualcuno. Già allora notavo che c’erano Poliziotti più o meno prudenti: alcuni agivano con troppa superficialità e sarebbero morti, se io fossi stato un terrorista rosso.

Quando aprii la mia prima agenzia investigativa Octopus di Bergamo, le brigate rosse erano considerate sconfitte e i controlli erano diventati più lassi, fui fermato insieme a un mio collega investigatore privato e trattenuto in Caserma per accertamenti. Ma ero ancora armato, perché il Carabiniere che mi aveva perquisito non mi aveva trovato la  pistola. Appena fuori dalla caserma andai ad accendere un cero per lui.

Col passare degli anni i detective privati collaboratori della mia agenzia investigativa Octopus di Milano mi hanno riferito talvolta di essere stati fermati e perquisiti da operatori di pubblica sicurezza che non avevano idea di come intervenire senza esporsi a gravi rischi, tuttavia nessuno dimenticava di qualificarsi.

Mi auguro che le argomentazioni degli assassini di Cerciello non facciano breccia nella nostra magistratura e in nessuna giuria, per rispetto di chi rischia la vita sulle strade per renderle più sicure.