Per lavorare in un’agenzia investigativa nessuno può insegnarti sensibilità e intelligenza.

La sensibilità del detective privato non può essere insegnata.
La sensibilità del detective privato non può essere insegnata.

Nel formare nuovi giovani investigatori privati, mi capitano soggetti più o meno svegli. In realtà non bado troppo a questo, perché ciascuno ha i suoi tempi e preferisco aspettare la lenta maturazione di un vero detective per la mia agenzia investigativa, anziché puntare su chi, per grazia naturale, non ha mai dovuto sudarsi le proprie abilità. E, per ciò, non sa cosa sia la tenacia; altra dote fondamentale nel nostro mestiere.

         Qualche volta si presentano alla mia agenzia investigativa promettenti aspiranti detective, ma molto più spesso ho a che fare con autentici impiastri (che evito accuratamente). Questi ultimi il più delle volte non sono appassionati al mestiere in sé, ma piuttosto attratti dalle emozioni e dal prestigio che esso può dare.

         È così anche per i poliziotti. Ho molti amici tra le Forze dell’Ordine in posizioni di comando, i quali mi hanno confessato in più di un’occasione che “restituirebbero all’agricoltura” buona parte dei loro sottoposti.

         A parte l’intelligenza c’è un’altra dote imprescindibile per chiunque voglia fare il poliziotto o il collaboratore di agenzia investigativa: la sensibilità. Anche perché poca sensibilità denota sempre scarsa intelligenza.

         Nella mia agenzia investigativa hanno vita (professionale) breve tutti quegli aspiranti collaboratori duri di cuore, incapaci d’immedesimarsi e scarsamente empatici.

         Recentemente sono successi due fatti in due differenti parti del mondo che fanno comprendere bene questo concetto: una donna brutalmente pestata dal compagno violento è riuscita a chiamare il 911, fingendo di ordinare una pizza. L’operatore al centralino ha capito al volo la situazione, inviandole tempestivamente i soccorsi che l’hanno salvata.

D’altra parte, una ragazzina di 15 anni, Alexandra Macesanu, è stata rapita e violentata più giorni e uccisa da Gheorghe Dinca. Durante la prigionia la giovinetta è riuscita per ben tre volte a chiamare il 112 (numero unico di emergenza dell’Unione Europea), chiedendo aiuto. Non è stata creduta ed è stata derisa e addirittura sgridata, mentre implorava: «Aiuto sta tornando, sta tornando per favore, non riagganciate!». Adesso è morta. Il capo della polizia rumena Ioan Buda è stato licenziato, insieme ad altri suoi colleghi incompetenti, ma la piccola Alexandra è morta.

         Purtroppo la stessa incapacità di immedesimarsi, meno evidente, capita in numerosi altri casi di violenza domestica in ogni parte del mondo: la difficoltà maggiore, oltre a convincere la vittima a reagire, consiste nel coinvolgere chi le sta intorno (Forze dell’Ordine comprese), affinché non sia lasciata sola.