Scarcerare i mafiosi equivale a diffondere il loro virus.

Il crimine organizzato è come una peste bubbonica morale.
Il crimine organizzato è come una peste bubbonica morale.

Ormai ascoltare i politici è diventato più faticoso che cercare di capire se un sospettato sta dicendo la verità. Come insegno ai detective della mia agenzia investigativa, spesso la verità viene fuori nei momenti di crisi, ma i nostri politici sono talmente abituati alle crisi e alle bugie che per loro non cambia niente. Allora bisogna rifarsi a un’altra regola, incorniciata su un muro della mia agenzia investigativa: “se vuoi smascherare un bugiardo, inizia dalle domande di cui sai la risposta”.

         In questi giorni molti politici, opinionisti e persino giornalisti (che dovrebbero essere informati per professione) sbraitano contro gli attuali governanti per aver permesso, con la scusa della pandemia covid-19, gli arresti domiciliari di criminali del calibro di Francesco Bonura, “colonnello” di Bernardo Provenzano; del ‘ndranghetista Rocco Santo Filippone assassino di nostri Carabinieri e di Vincenzo Iannazzo un altro ‘ndranghetista che seminava terrore e disperazione a Lamezia Terme.

Bugia! Direbbe l’ultimo dei detective della mia agenzia investigativa: sono tutti detenuti a fine pena, cui potrebbero spettare comunque i domiciliari, opzione resa particolarmente facile dalla pandemia di coronavirus in corso.

         Gli attuali governanti e magistrati, difendendosi dalle accuse, replicano che la pandemia non c’entra niente e che sono alcuni meccanismi giudiziari automatici a prevedere i domiciliari in casi simili. In questo caso persino la signora che viene a farmi le pulizie dell’agenzia investigativa griderebbe alla bugia: innanzitutto non sono automatici perché prevedono un’istanza ben articolata (rafforzata dal coronavirus) scritta da un avvocato e vagliata dai magistrati cui spetta l’ultima parola. Mi rendo conto che Bonura stesse terminando di scontare una pena a 18 anni e 8 mesi e gli mancava poco alla scarcerazione, ma perché non fargli scontare sino all’ultimo giorno la pena, cos’ha di speciale lui che non ha un bravo italiano medio, impedito per covid-19 di raggiungere i suoi parenti al mare e magari costretto a resistere in un monolocale cittadino più piccolo di una cella?

E se il dito dietro al quale nascondersi è la condanna a fine pena, che dire dei ‘ndranghetisti Rocco Santo Filippone e Vincenzo Iannazzo le cui condanne sono ancora da scontare e la cui pericolosità sociale non cesserà neppure da morti per il turpe esempio che hanno dato in vita.

         La verità è che tutti i nostri politici e dirigenti mentono, dicendo la cosa che fa comodo a loro e sottacendo le proprie responsabilità. Con mafiosi del calibro di quelli scarcerati e quelli che hanno presentato istanza di scarcerazione non dovrebbero essere mai state approvate misure alternative al carcere, anzi questo andrebbe inasprito con i lavori forzati, perché a quella gente il carcere non fa paura ma sono terrorizzati dal lavoro. E non fatemi obiezioni sulla veneranda età dei criminali, che la bancarotta dell’INPS ha reso le pensioni una chimera per milioni di onesti lavoratori italiani.

Anziché preoccuparsi della funzione educativa della pena, che non esiste con soggetti criminali di questo spessore, i nostri governanti tutti avrebbero potuto copiare il modello statunitense “three strikes and you’re out”, ovvero: “al terzo errore sei fuori per sempre: carcere a vita”, sarebbe un bel modo per onorare i nostri caduti di mafia e semplificare l’esistenza di molta brava gente costretta a convivere con l’eterna peste del crimine organizzato.