La verifica di un alibi vecchio di trent’anni è l’incubo di qualsiasi inquirente giudiziario o titolare di agenzia investigativa autorizzata alle indagini penali difensive.

Speriamo che la riapertura delle indagini sul delitto di via Poma riesca a dare finalmente un po' di Giustizia alla povera Simonetta Cesaroni e di pace ai suoi familiari.
Speriamo che la riapertura delle indagini sul delitto di via Poma riesca a dare finalmente un po’ di Giustizia alla povera Simonetta Cesaroni e di pace ai suoi familiari.

A più di trent’anni dal delitto di via Poma i media in cerca di audience titolano che “c’è una svolta nell’omicidio di Simonetta Cesaroni”. Poi leggi meglio e scopri che a distanza di così tanto tempo ci sarebbe una testimone che fa traballare l’alibi dell’avvocato Francesco Caracciolo di Sarno, allora datore di lavoro di Simonetta e oramai scomparso da sei anni. La verifica di un alibi vecchio di trent’anni è l’incubo di qualsiasi inquirente giudiziario o titolare di agenzia investigativa autorizzata alle indagini penali difensive.

L’inarrestabile PM Ilaria Calò ha recentemente rivolto le sue attenzioni sul fu avvocato Caracciolo di Sarno sulla base dei ricordi di una testimone che (spero di sbagliarmi in questo caso specifico) sono notoriamente fallaci nell’immediatezza del fatto, figuriamoci dopo 32 anni.

Sottolineo inarrestabile perché si tratta dello stesso Procuratore (e questo non fa ben sperare) che tra il 2009 e il 2012 ha perseguito sino in cassazione l’ex fidanzato di Simonetta, Raniero Busco, sulla base del nulla: il giovane Raniero avrebbe lasciato tracce del suo DNA sulla lingerie della povera ragazza. Personalmente, da vecchio investigatore privato e titolare dell’agenzia investigativa Octopus che si occupa d’indagini criminali dal 1988, mi sarei insospettito del contrario.

Ci sono delitti più speciali degli altri, ma non per efferatezza o per altre peculiarità, semplicemente per audience… per moda. Sono casi giudiziari sui quali la stampa si accanisce sin da subito con particolare veemenza. E gli inquirenti, quelli incapaci, attraversano due fasi, entrambe deleterie per la Giustizia e per i cittadini: la prima fase consiste nel cercare di risolvere il delitto in fretta aggredendo il primo sospettato che capita a tiro. I magistrati inquirenti finiscono col rovinare la vita a tutte le persone vicine alla vittima, perché inizialmente sono tutti sospettati.

Poi, quando si sono commessi tutti gli errori investigativi possibili e il delitto rimane irrisolto, c’è la seconda fase, peggiore della prima: si fa passare la ricerca di visibilità degli inquirenti per tenacia investigativa, rovinando per la seconda volta la vita di alcuni dei sospettabili più sfortunati sulla base del nulla.

Eppure qualunque investigatore dovrebbe sapere che la prima risposta, in genere, è quella giusta. Da anni insegno ai detective privati della mia agenzia investigativa Octopus che, inaffidabilità dei testimoni a parte, risposte tardive, ritrattazioni e ricordi improvvisamente riaffiorati sono in genere frutto di suggestione (nel migliore dei casi) oppure di manie di protagonismo o di depistaggio (in quello peggiore). Potrei scrivere un libro sui casi criminalistici risolti dalla mia agenzia investigativa, rileggendo le carte processuali e prendendo in considerazione solamente le prime risposte dei testimoni, quelle inizialmente trascurate dall’Autorità giudiziaria.

L’incapacità di ammettere gli errori e l’aberrazione di preferire un innocente in galera a un colpevole in libertà sono altri due difetti che purtroppo riscontro spesso negli inquirenti istituzionali da quando la mia agenzia investigativa Octopus si occupa di indagini penali difensive.