Da investigatore privato e titolare dell’agenzia investigativa Octopus, svolgerei le mie indagini sull’omicidio di Via Poma in assoluto silenzio.

Per il momento, a parte mettere al corrente l’assassino delle proprie indagini, gli espertianalizzano cosa si sarebbe dovuto fare col senno e le competenze di oggi sul caso di Via Poma
Per il momento, a parte mettere al corrente l’assassino delle proprie indagini, gli esperti
analizzano cosa si sarebbe dovuto fare col senno e le competenze di oggi sul caso di Via Poma

Gli ulteriori accertamenti sull’assassinio di Simonetta Cesaroni, avvenuto in Via Poma a Roma il 7 agosto 1990 farebbero sperare in una tardiva risoluzione del caso, se non ci fosse la nota stonata di una riapertura del caso più mediatica che sostanziale.

          Per come sono abituato, da investigatore privato e titolare dell’agenzia investigativa Octopus che si occupa di criminalistica da 43 anni, svolgerei le mie indagini sull’omicidio di Via Poma in assoluto silenzio stampa e ricorrerei, eventualmente, ai giornalisti solamente per ragioni di strategia investigativa attraverso fughe di notizie pilotate per smuovere le acque.

          Sembra che gli investigatori istituzionali, i criminologi e persino qualche mio collega investigatore privato non comprendano (o non vogliano comprendere per ragioni di autopromozione) che aggiornare i media su ogni proprio passo investigativo equivale a fornire un costante vantaggio all’assassino. Adesso, per esempio, i criminologi (che in realtà andrebbero definiti criminalisti) stanno sbandierando ai quattro venti i loro sforzi di identificare l’arma del delitto mai trovata. Ebbene, immaginate che l’assassino l’abbia conservata come feticcio sino ad oggi: avvisato dai media potrebbe decidere di sbarazzarsene e addio per sempre all’arma del delitto.

          Per il momento, a parte mettere al corrente l’assassino delle proprie indagini, gli esperti stanno analizzando cosa si sarebbe dovuto fare col senno e le competenze di oggi sul caso di Via Poma. Va detto che sino agli anni ’80 molti magistrati, incapaci di fare o di ordinare semplici accertamenti anagrafici, arrestavano tutti gli omonimi di un catturando e costringevano numerosi innocenti a una rovinosa carcerazione preventiva mentre la polizia giudiziaria cercava di capire, con comodo, chi fosse il loro ricercato.

          Da allora la professionalizzazione dei magistrati e degli organi inquirenti ha fatto pochi passi avanti. Negli anni ’90, essendo la mia agenzia investigativa Octopus di Milano autorizzata alle indagini penali difensive, mi capitava regolarmente di rintracciare in anagrafe più familiari e parenti interessati in un’indagine di quanti venissero trovati dalla polizia giudiziaria o di cercare le prove per far scarcerare persone arrestate sulla base di un’omonimia o di un equivoco.

          Non dimentichiamoci che nessun poliziotto o magistrato che mise in galera Enzo Tortora nel 1983 subì un contraccolpo nella propria carriera; come si può pretendere efficienza da organi dello Stato che non hanno mai accettato critiche e censure?

Già raccontai in un mio manuale investigativo di un amico Ufficiale della Guardia di Finanza che da mesi non riusciva a identificare un truffatore specializzato in assegni a vuoto. All’epoca avevo appena aperto la mia prima agenzia investigazioni Octopus e gli feci il favore di identificare e rintracciare lo zanza in mezza giornata attraverso ricerche incrociate tra i bollettini dei protesti e gli uffici d’anagrafe dei Comuni interessati (il mio amico, specializzato in reati finanziari, non sapeva neppure esistessero i bollettini dei protesti).